Salari e disuguaglianze in Italia - Italia in dati (2024)

In Italia, gli andamenti dei salari e delle disuguaglianze risultano simili a quelli di altre grandi economie europee (Francia, Germania, Spagna). Nel 2021, la retribuzione globale annua (RGA) media italiana si aggira intorno ai 30.000 euro, mentre la retribuzione annua lorda (RAL) media è pari a circa 29.500 euro (circa 1.700 euro netti al mese). La RGA è sempre più alta della RAL poiché è formata dal totale dei compensi che spettano periodicamente al lavoratore o alla lavoratrice dipendente (per esempio include i buoni pasto, welfare, rimborsi spesa…).
Il quadro della distribuzione generale del reddito, al 2020 (dati 2019), è il seguente. Nel grafico è riportato il numero di contribuenti nella specifica fascia di reddito lordo complessivo.

Circa 1,6 milioni di italiani hanno un reddito annuo lordo superiore a 60.000 euro; 22,7 milioni di italiani non superano i 20.000 euro. Su 40,5 milioni di contribuenti, il 4% dichiara più di 2.850 euro netti al mese, mentre il 56% dichiara meno di 1.300 euro netti al mese. Meno di 41.000 contribuenti (0,1% del totale) dichiarano un reddito annuo lordo medio superiore a 300.000 euro (ca 12.000 euro netti al mese).

Tipologia di reddito, età e istruzione

Sul totale dei lavoratori dipendenti, poco più del 67% risulta sotto la media del reddito annuo lordo italiano. Tra i lavoratori autonomi, il 34% ha dichiarato un reddito minore alla media italiana. Tra i pensionati, circa il 79% percepisce un reddito sotto la media.

Al crescere dell’età e dei livelli di istruzione aumenta la retribuzione. Nel 2020, tra i 25-34 anni, la RAL media è di 25.818, tra i 35-44 anni di 28.967, tra i 45-54 anni di 31.252. La RAL media dei laureati è di 39.787, mentre quella dei non laureati è di 27.662. Chi ha anche un master di II livello può contare su una retribuzione media pari a 47.000.

Per approfondire il legame tra istruzione e mercato del lavoro si legga l’articolo dedicato all’occupazione e disoccupazione in Italia.

Salari del settore pubblico e privato

Al 2019, nel settore pubblico, il valore medio della retribuzione annua lorda (RAL) passa dai 28.440 euro della scuola ai circa 30.000 dei dipendenti di regioni ed autonomie locali; dai 90.000 euro dei dipendenti inquadrati in ambito prefettizio, fino ad arrivare agli oltre 137.000 medi della magistratura. La retribuzione media annua lorda dei dipendenti pubblici è di circa 34.500 euro.

Nel privato, ad inzizio 2021, i servizi finanziari sono il settore che più paga (RGA 45.295 euro), di contro, l’agricoltura è quello che paga meno (RGA 24.619 euro). I servizi finanziari, insieme al settore delle utilities (RGA 32.563 euro), l’industria di processo (RGA 32.065 euro) e manifatturiera (RGA 30.538 euro) hanno delle RAL e RGA medie che si posizionano al di sopra della media nazionale, mentre al di sotto, insieme ad agricoltura, ci sono i servizi (RGA 28.842 euro), commercio (RGA 29.169 euro) ed edilizia (RGA 26.929 euro).

Sulla base della qualifica professionale le RGA medie al 2021 sarebbero le seguenti: dirigenti 112.326 (circa 4.400 netti al mese), quadri 57.444 (2.750), impiegati 31.447 (1.780), operai 25.118 (1.500). Più è grande l’impresa, più la RAL media aumenta: da 26.000 euro (nelle imprese sotto i 10 dipendenti), fino ad arrivare a 36.800 euro (imprese sopra i 1.000 dipendenti).

Differenze di genere

All’interno dell’Unione Europea, l’Italia si colloca al di sotto di UE27 (senza UK) e UE28. Il paese più virtuoso è la Svezia, il peggiore la Grecia. Occorre sottolineare però che in generale i Paesi Europei sono riconosciuti come i migliori in assoluto in questo ambito a livello globale.

Per tasso di partecipazione femminile alla forza lavoro, reddito guadagnato, quota di legislatori e dirigenti donne e quota di lavoratrici tecniche e professionale l’Italia risulta sopra la media globale, ma gli unici ambiti in cui si è raggiunta la sostanziale parità tra uomo e donna sono quelli della tutela della salute e dell’istruzione. La situazione risulta più preoccupante per le opportunità economiche e la partecipazione politica. In particolare, l’Italia è al di sotto della media globale per uguaglianza salariale per lavori simili.

Considerando il settore privato, ad esclusione di sanità e istruzione private, per l’anno 2020, a parità di mansione, le donne hanno registrato una RAL inferiore dell’11,5% e una RGA inferiore del 12,8% rispetto quelle degli uomini.

La situazione italiana riflette una situazione riscontrabile in gran parte del mondo. A parità di condizioni, con le tendenze attuali, il divario globale di genere (c.d. global gender gap) registrato nel 2020 potrà essere chiuso in 99,5 anni. Anche se in calo di 10 anni rispetto alla rilevazione del 2019, è chiaro che il cammino per raggiungere una sostanziale parità è ancora lungo.

Disuguaglianze e salari nelle varie regioni d’Italia

Da un punto di vista geografico, di seguito un’infografica che mostra come erano localizzate i redditi globali annui ad inizio 2021.

La RAL media del Nord ad inizio 2021 è di 30.800, nel Centro di 29.300, nel Sud e nelle Isole di 26.300. Al Nord sono localizzate più aziende di grandi dimensioni e che dunque richiedono maggiormente profili con elevate competenze. Allo stesso tempo, il costo della vita è più basso nel Meridione e occorre ricordare che il tasso di lavoro sommerso è maggiore al Sud: ciò fa ovviamente diminuire il livello dei salari regolari registrati.

Come ridurre le disuguaglianze?

Il disequilibrio dei redditi è un tema fortemente correlato alle disuguaglianze. Le condizioni economiche di partenza degli individui, in termini di reddito e patrimonio, creano delle barriere quasi insormontabili. Spesso predeterminano titolo di studio, stato di salute e stato di ricchezza nel corso di tutta la vita.
Secondo Oxfam, nel 2019, il 20% più ricco in Italia detiene quasi il 70% della ricchezza totale in Italia, mentre il 20% più povero circa l’1,3%. Il patrimonio dei primi tre miliardari italiani sarebbe superiore alla ricchezza netta detenuta dal 10% più povero della popolazione italiana, circa 6 milioni di persone (37,8 miliardi di euro). Per approfondire il tema si invita a leggere l’articolo sulla povertà assoluta e relativa in Italia.

Anche se qualsiasi fascia della popolazione italiana ha visto migliorare il proprio stile di vita negli ultimi 60 anni, considerati i divari appena citati, è chiaro che si deve ancora compiere un lungo cammino per costruire una società più inclusiva. Nel 2020, a causa della pandemia, vecchie vulnerabilità si sono acuite e sommate a nuove fragilità, conconseguenze allarmanti per il benessere dei cittadini, l’inclusione e la coesione sociale.

Alcuni esperti suggeriscono di imporre un minimo salariale orario per tutta Italia, di rafforzare l’efficacia delle organizzazioni sindacali, di assegnare missioni strategiche qualitative di lungo termine alle imprese pubbliche. Altre associazioni suggeriscono di prevedere l’acquisto delle imprese in crisi da parte dei loro stessi lavoratori e dar vita ad un’eredità universale da versare ad ogni maggiorenne. Rafforzare la portata redistributiva del sistema nazionale di imposte e trasferimenti e investire in un’istruzione pubblica di qualità e nel contrasto alla povertà educativa appaiono altre strategie vincenti per favorire la mobilità intergenerazionale.

Come si potrà evincere, ridurre le disuguaglianze non è semplice e non esistono ricette economiche in grado di funzionare efficacemente in tutti i contesti. Di certo, lo Stato italiano cerca di redistribuire costantemente il reddito dei cittadini tramite una tassazione progressiva. I dati a riguardo sono riportati nell’articolo che tratta dell’evasione in Italia.

Andamento dei salari in Europa e USA

Dal 1980 al 2017 la popolazione europea, nel suo complesso, ha migliorato le condizioni di partenza, ma sono aumentate le disuguaglianze. L’1% della popolazione più ricca avrebbe visto accrescere il suo reddito due volte più velocemente del 50% della popolazione più povera. Nel 2017 il 10% della popolazione più ricca ha guadagnato il 34% di tutto il reddito Europeo, mentre nel 1980 ne guadagnava il 30%.

I risultati del Vecchio Continente appaiono rincuoranti se paragonati a quelli degli USA. Dal 1980 al 2017, in Europa, la metà più povera della popolazione ha visto salire il suo reddito medio del 40%; negli Stati Uniti, i più poveri hanno sostanzialmente lo stesso reddito di 30 anni fa. Inoltre, dal 2000 in poi, la maggior parte dei Paesi europei è riuscita ad assicurare una crescita sempre più inclusiva.

La fotografia dall’Istituto dei Sindacati Europei del 2019, racconta di un’Europa a più velocità. Nel periodo 2009-2019, gli stipendi reali (ovvero aggiustati rispetto all’inflazione e al potere di acquisto) sono:

  • scesi del 23% in Grecia, dell’11% in Croazia, del 7% a Cipro, del 4% in Portogallo, del 3% in Spagna, del 2% in Italia e dell’1% in Gran Bretagna e Ungheria;
  • rimasti pressoché stabili in Finlandia e Belgio;
  • cresciuti moderatamente in Germania (+11%) e in Francia (+7%);
  • cresciuti considerevolmente nei Paesi dell’Est: Bulgaria (+87%), Romania (+34%) e Polonia (+30%), e nei Paesi baltici (Lettonia, Lituania ed Estonia, circa +20%).

UE a più velocità, l’Italia tra i più lenti

Nel 2020, nel mezzo della pandemia, il salario medio annuale di un cittadino lussemburghese era il doppio di quello di un greco, e quasi tre volte quello di uno slovacco. In generale, ad avere i salari medi più alti sono ipaesi dell’Europa nord occidentale(Lussemburgo, Paesi Bassi, Belgio, Danimarca), mentre quelli più bassi li registrano stati membri dell’Europa centrale (Slovacchia e Ungheria) e meridionale (Grecia e Portogallo).

In alcuni paesi europei tra il 2019 e il 2020, nonostante la pandemia,i salari medi annuali sarebbero lievemente aumentati. È il caso dei Paesi Bassi (+2,4%), e di alcune nazioni dell’Europa centrale tra cui la Slovenia (+2,3%), ma anche dei paesi baltici (soprattutto la Lettonia, +7,1%). Mentre in stati come Francia, Spagna e Italia si è registrato un lieve calo, pari rispettivamente al 3,2% per la Francia, al 2,9% per la Spagna e al 5,9% per l’Italia.

I dati sull’eterogeneità e la diseguaglianza in Europa sono confermati dal Regional Competitiveness Index. L’indice, calcolato dalla Commissione Europea, misura la capacità delle singole regioni europee di garantire un ambiente competitivo, attrattivo e sostenibile per le aziende e le persone. Nel 2019 la media europea è di 60,3. In tutto il Bel Paese, l’indice di competitività risulta inferiore alla media europea (da 18 a 57), con forti differenze tra Nord e Sud.Di seguito una fotografia europea dell’indice; le aree rosse sono quelle che presentano valori più bassi alla media e quelle blu i valori più alti.

Salari e disuguaglianze in Italia - Italia in dati (1)

Andamento della produttività

Perché l’Italia risulta poco competitiva e i salari fanno fatica a crescere? Una risposta può arrivare dall’analisi della produttività. La produttività è una delle chiavi della crescita economica: è comunemente definita come il rapporto tra il volume della produzione e il volume degli input (lavoro e/o capitale), che sono stati usati per produrre un dato livello di output.

La produttività può essere misurata in modi diversi. Solitamente viene misurata come prodotto interno lordo (PIL) generato per ora lavorata o per lavoratore. Le misure di produttività del lavoro basate sulle ore lavorate catturano meglio l’uso dell’input di lavoro rispetto alle misure basate sul numero di persone impiegate a causa delle differenze tra Paesi nei modelli di orario di lavoro e nelle varie legislazioni sull’occupazione.

Di seguito un grafico con dati OCSE che mostra la differenza di punti percentuali nella produttività (calcolata come PIL generato per ora lavorata) dalla media OCSE. L’indicatore è calcolato a prezzi correnti del 2019 e parità di potere di acquisto.

L’Italia mostra una produttività di poco superiore alla media OCSE, ma lo scarto dalla media è diminuito negativamente tra il 2000 (+20,3%) e il 2019 (+8,6%). Tra il 2001 e il 2007 la produttività dell’Italia è diminuita in media dello 0,01% annuo, presentando l’unico segno meno tra i 40 Paesi analizzati dall’OCSE. Tra il 2010 e il 2016 la produttività è aumentata solo dello 0,14% medio annuo, il dato peggiore dopo quello della Grecia (-1,09%).

Al fine di invertire la rotta, urgono politiche volte a potenziare il sistema educativo italiano, incentivare gli investimenti in ricerca e sviluppo da parte del settore pubblico e privato, combattere la corruzione, investire intelligentemente in opere pubbliche che garantiscano un ritorno economico, digitalizzare e rinnovare la Pubblica Amministrazione.

Uno sguardo a livello globale

Allargando lo sguardo a livello globale, si notano diseguaglianze più marcate che in Italia o Europa. Oxfam afferma che, a metà 2019, l’1% più ricco nel mondo deteneva più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone. 2.153 miliardari detenevano la ricchezza di 4,6 miliardi di persone, circa il 60% della popolazione globale.

Parallelamente, il fenomeno della povertà estrema nel mondo sta diminuendo considerevolmente da decenni, sia in termini relativi, sia in termini assoluti. A tal proposito si guardi il grafico sottostante basato sui dati della Banca Mondiale. Il grafico riporta il numero di persone che vivono in condizioni di estrema povertà dal 1990 al 2017.

Nel 1990 più di 1,9 miliardi di persone viveva in condizioni di estrema povertà (con meno di 1,90$ al giorno). Il numero era pari al 36% della popolazione mondiale. Nel 2015 nella stessa condizioni vivevano 750 milioni di persone (il 10% della popolazione mondiale). Le proiezioni della Banca Mondiale, al 2030, stimano un numero di persone in povertà estrema inferiore ai 500 milioni. Tali proiezioni subiranno un rallentamento a causa della pandemia di Covid-19, ma rimangono invariate nel medio e lungo periodo.

TAKE AWAY

► Nel 2021, la retribuzione annua lorda (RAL) media è pari a circa 29.500 euro (ca 1.700 euro netti al mese). Su 40,5 milioni di contribuenti, il 4% dichiara più di 2.850 euro netti al mese, mentre il 56% dichiara meno di 1.300 euro netti al mese.
► La retribuzione varia in funzione del settore, del sesso (a sfavore delle donne), dei livelli di istruzione (più alto il livello di istruzione, più alti i guadagni), della qualifica professionale e della regione in cui si lavora (a sfavore del Sud). In generale, i redditi italiani sono più bassi se paragonati a quelli di altre economie avanzate e gran parte dello squilibrio e dovuto alla bassa produttività del lavoro.
► Negli ultimi decenni la diseguaglianza in Italia è aumentata, anche se tutti gli strati della popolazione hanno visto aumentare i propri redditi. Lo stesso trend è riscontrabile in Europa e nel mondo. A livello globale sono stati compiuti in ogni caso enormi passi avanti nella lotta alla povertà estrema.

Fonti:
Osservatorio Job Pricing – JP Salary Outlook 2021 – II edizione – Dicembre 2021
Ministero dell’Economia – Dichiarazioni del 2020 – Maggio 2021
Osservatorio Job Pricing – Gender Gap Report 2021 – Ottobre 2021
Osservatorio Job Pricing– Geography Index 2021 – Novembre 2021
World Economic Forum – Global Gender Gap Report 2021 – Marzo 2021
Oxfam – TIME TO CARE. Unpaid and underpaid care work and the global inequality crisis – Gennaio 2020
Oxfam – IL RAPPORTO DISUGUITALIA 2021 – Gennaio 2021
OCSE – Cross-country comparisons of labour productivity levels – 2021
World Inequality Database – How Unequal Is Europe? Evidence from Distributional National Accounts, 1980-2017 – Aprile 2019
European Commission – The EU Regional Competitiveness Index 2019 – Ottobre 2019
Banca d’Italia – La disuguaglianza della ricchezza in Italia: ricostruzione dei dati 1968-75 e confronto con quelli recenti – Marzo 2018
Banca d’Italia – Cinquant’anni di indagini sui bilanci delle famiglie italiane: storia, metodi, prospettive – Dicembre 2016
Forum Disuguaglianze e Diversità – 15 Proposte per la giustizia sociale – Marzo 2019
European Trade Union Institute – Benchmarking Working Europe 2019 – Marzo 2019
Our World in Data – Global Extreme Poverty – 2021

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